LA MACCHINA DEL TEMPO
una barca, tra 100 anni...
La macchina del tempo esiste, ma non ci crederete mai, lo so (e poi, comunque, non me ne importa più).
La maggior parte di voi lo leggerà come un racconto diacronico e distopico, ma le cose stanno diversamente.
Io lo so, perché vengo dal vostro futuro. E ve lo racconto a partire da una barca, visto che questo è il nostro club nautico virtuale.
Una barca scivola silenziosamente entrando in un porto semivuoto. I motori non emettono alcun rumore e nessuno sta ai comandi: l’unica presenza visibile a bordo, una signora di età avanzata, sta a prua, con un bicchiere in mano ed osserva le banchine deserte ed ordinatissime.
La barca esegue una manovra pulita, senza sbavature, contrasta la brezza al traverso ed entra in un posto di ormeggio di punta che lascia giusto lo spazio per lo scafo slanciato e rilucente al sole del tramonto.
Non ci sono cime da passare e cui dare volta, perché una serie di fasce in sintetico accoglie ed imprigiona la barca fino a bloccarla elasticamente in posizione perfetta, a fine manovra.
Ciò che conta, è che passando accanto alle “briccole” esterne di quel posto barca, in quei pochissimi secondi di affiancamento con le piastre nere montate su quei pali, la scorta di energia della barca è stata già completamente ricaricata, e la stessa sarebbe pronta a ripartire subito per una nuova lunga crociera, interamente programmata dal terminale portatile della signora e controllata istante per istante dai sistemi di geolocalizzazione e controllo che gestiscono ormai per intero qualsiasi spostamento sul pianeta (per quelli che ancora hanno voglia di spostarsi).
Come ormai tutti i mezzi di trasporto, come ormai qualsiasi cosa che abbia bisogno di energia, anche questa barca utilizza solo l’elettricità, ma non ci sono più le “batterie” a bordo: la rivoluzione del 2026 (quella che con le sue conseguenze indirette ha causato, alla fine, la sparizione di quasi due terzi del genere umano) è partita da un principio noto da più di due secoli: i condensatori elettrici e la loro capacità di accumulare energia, che era andata via via migliorando esponenzialmente con l’evoluzione tecnologica, ma che fino ad allora potevano fornire la loro energia accumulata solo in modo quasi istantaneo ed esplosivo.
Anche l’aspetto fisico dei condensatori si è evoluto, e non somigliano più a niente: qualsiasi cosa può essere un condensatore, anche gli strati del guscio esterno di una barca come quella: è solo una questione di materiali nanotecnologici e di isolanti avanzatissimi.
Restava quindi il problema della “restituzione” di questa energia per poterla sfruttare, ed allora arrivarono gli EDU, da un laboratorio coreano: gli Energy Deployment Units, sostanzialmente dei processori in grado di restituire gradualmente ed in modo controllato l’energia accumulata nei condensatori (per spiegarla in modo facile).
L’introduzione degli EDU, nell’autunno di quell’anno, causò la fine di una enorme serie di processi industriali, subito il collasso quasi istantaneo di tutta l’industria delle batterie, anche di quelle più evolute, il crollo dell’economia basata sulla distribuzione diffusa dei prodotti petroliferi (le auto con motori endotermici diventarono nel giro di due anni dinosauri invendibili), lo spostamento dell’asse gravitazionale della richiesta di energia su rotte e continenti diversi e nuovi: il petrolio, il gas, shale-oil, derivati e sottoprodotti divennero illogici ed insostenibili.
L’energia nucleare era insopportabile per complessità, costi di impianto, rischi connessi, derivati pericolosi ed ingestibili, lentezza di realizzazione.
Spostare enormi quantità di petrolio, gas e simili apparve per quello che inesorabilmente era: una cosa idiota.
Costava enormemente di meno spostare energia elettrica e renderla disponibile con una rete diffusa per la ricarica dei gruppi di accumulatori costituiti da supercondensatori + EDU: la ricarica è praticamente istantanea e l’erogazione successiva è perfettamente controllabile.
Del resto, non poteva andare diversamente: un’auto con un motore diesel è fatta di alcune migliaia di pezzi: un’auto elettrica con accumulatori a condensatore ha un centesimo di quelle parti. I motori elettrici sono integrati nelle ruote, non esiste cambio, né differenziale, esiste un’elettronica di controllo evoluta, un po’ di cablaggi, la serie di supercondensatori ed un paio di EDU.
I rendimento migliore ottenibile con la più sofisticata tecnologia pre-EDU in un’auto tradizionale era dell’ordine del 35%: il rendimento dei nuovi mezzi di trasporto fu da subito superiore all’85%.
Ma gli EDU sconvolsero gli equilibri economici che il mondo aveva costruito faticosamente ed anche sanguinosamente a partire dalla seconda guerra mondiale: spostare il petrolio ed i suoi derivati non serviva più a niente. Lo stesso consumo di quei prodotti si ridusse enormemente e di conseguenza la quantità ridotta che continuava a servire, doveva essere disponibile ad una frazione di costo rispetto all’anno precedente, perché lo si voleva utilizzare il più vicino possibile al punto di estrazione.
Supercondensatori ed EDU resero possibile teoricamente una riduzione del consumo di energia, a parità di tutto il resto, pari al 70% dall’oggi al domani, e questo l’economia globale non poteva in nessun modo sopportarlo. Non era pronta per questo.
La grande illusione che tutto ciò fosse un insperato e magico vantaggio per l’umanità, finì crudissimamente nel momento in cui fu evidente che nessuna economia accetta di disintegrarsi come nebbia al sole supinamente: tutti i paesi produttori di petrolio e derivati si ritrovarono al collasso. Tutti i paesi trasformatori si scoprirono inadeguati.
Le più grandi società di distribuzione e conversione dell’energia (compagnie petrolifere, generazione elettrica, trasporti industriali, chimica di base, ecc…) crollarono nel giro di due anni, l’economia basata sugli equilibri industriali pre-EDU si preparò all’armageddon: il mondo era ancora assetato di energia, ma ne richiedeva d’improvviso meno della metà, e quella metà non poteva accettare di pagarla (in denaro sonante, in inquinamento, in complicazione per poterla utilizzare, ecc…) ai prezzi di quel periodo.
I paesi produttori di petrolio divennero istantaneamente una periferia puzzolente ed inquinata, di cui non importava più niente a nessuno.
Medio oriente, sud America, Alaska, un terzo degli Stati Uniti e quattro quinti del territorio russo si scoprirono inutili e destinati ad un futuro di impoverimento inarrestabile.
I campi petroliferi, le piattaforme di estrazione in mare, oleodotti e raffinerie iniziarono a crollare da un giorno all’altro come leviatani arrugginiti.
Corea, e poi Filippine, Vietnam, Malaysia, Indonesia e tutto il sud est asiatico (con i brevetti e la tecnologia degli EDU e dei supercondensatori) diventarono il centro dello scacchiere mondiale, e nel momento in cui gli USA bloccarono di fatto la diffusione commerciale del relativo know-how produttivo (e decisero di difendere militarmente le aree di ricerca e produzione, inglobando praticamente quella vasta area geografica nei “protettorati d’oltre-mare” di rilevanza strategica, con l’appoggio interessato di Giappone ed India) fu evidente che Cina e Russia non potevano accettare di finire in miseria senza reagire.
Iniziò così il crollo dell’era industriale per come l’avevamo conosciuta nei due secoli precedenti.
Oggi il nuovo ordine è ristabilito: ci sono volute tre guerre globali, 70 anni di distruzione e ricostruzioni (ma ricostruire quando l’energia è ovunque disponibile, a prezzo bassissimo e complicazione nulla, è veramente facile, più di quanto avremmo potuto mai sognare).
L’Europa è diventata il buen retiro ed il parco giochi per i pensionati del mondo sopravvissuto.
Le aree di guerra saranno decontaminate e riadattate alla poverissima economia della sopravvivenza alimentare ancora per un paio di secoli.
Ma del resto, adesso anche il cibo è sovrabbondante ed a buon mercato per chiunque: nessuno si sognerebbe più di “difendere” energia, o cibo, o acqua, o territorio.
Nessuno difende più nulla, in realtà.
Le menti e le coscienze sono ormai anestetizzate, dopo il “grande sacrificio”.
Le guerre hanno fatto sparire un numero incalcolabile di vite: un abisso, che nessuno vuole più ricordare.
È diventato un mondo silenzioso, ordinatissimo, pulito.
Qualcuno va ancora per mare, ma ovunque, in definitiva, sembra di vivere in un autunno sconsolato e vuoto, di rimpianti e memorie.
Un mondo di vecchi.
Temo di dovervi dire che siamo rimasti tutti molto soli.
E non ci importa più.
LG